Cucina italiana, dopo il riconoscimento UNESCO arriva un altro dato di cui non andare fieri: Italia addirittura al 1° posto di questa black list
La cucina italiana è stata ufficialmente riconosciuta come patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Un traguardo che va ben oltre l’orgoglio nazionale: è il riconoscimento di una tradizione fatta di gesti quotidiani, ricette tramandate, prodotti legati ai territori e a una cultura del cibo che racconta identità, storia e comunità. Non solo piatti iconici, ma un modo di vivere la tavola che il mondo ci invidia.
Questo riconoscimento, però, porta con sé anche una responsabilità. Perché celebrare una cucina patrimonio mondiale significa interrogarsi su come la trattiamo ogni giorno, non solo quando la raccontiamo all’estero. Ed è proprio da questo punto di vista che emerge una contraddizione difficile da ignorare, quasi stonata rispetto alla narrazione di eccellenza che accompagna il Made in Italy alimentare. Perché per un riconoscimento importante a livello universale, ne segue un altro di cui dovremmo andare meno fieri.
Portiamo in tavola una cucina celebrata dall’UNESCO, ma siamo anche al primo posto in Europa per spreco alimentare domestico. Un primato che fa rumore. Secondo i dati di Waste Watcher International, infatti, in Italia ogni settimana finiscono nella spazzatura 555,8 grammi di cibo a persona. Un dato più alto rispetto a Paesi come la Germania (512,9 grammi), i Paesi Bassi (469,6), la Francia (459,9) e la Spagna (446,5).
Numeri che raccontano una distanza evidente tra ciò che diciamo di essere e ciò che facciamo davvero. E non si tratta solo di grandi quantità buttate via dopo pranzi abbondanti o feste: spesso parliamo di pane raffermo, frutta dimenticata, avanzi cucinati con cura e poi lasciati scivolare nell’indifferenziata.
Lo spreco non è solo una questione etica o ambientale, ma anche economica. Le analisi di Ener2Crowd, una delle principali piattaforme di investimenti ESG, stimano che lo spreco alimentare in Italia valga 12,55 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme. Una cifra dunque immensa che finisce dritto nella spazzatura.
Dunque contrariamente a quanto si pensa, il problema non è solo “quanto cuciniamo” ma come pianifichiamo. Spesso acquistiamo più del necessario, attratti dalle offerte o dalla paura di restare senza. Altre volte interpretiamo in modo rigido le etichette, confondendo un “da consumarsi preferibilmente entro” con una vera scadenza, e gettiamo cibo ancora perfettamente commestibile perché ne abbiamo preparato troppo per più persone del dovuto. Sarà questo l’obiettivo del 2026: scalare la classifica al contrario in questo caso, scendere gradino dopo gradino per rispetto del cibo, delle persone a cui manca e dello spreco di risorse alimentari ed economiche.
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