Calza della Befana, non sempre c’è stata la cioccolata dentro. Vi sorprenderà sapere cosa c’era un tempo…

Natale, Capodanno e poi la l‘Epifania. Sono le tre grandi tappe di questo periodo meraviglioso dell’anno che è sinonimo di spensieratezza, famiglia e felicità. L’aria magica parte già da fine novembre, per poi proseguire a inizio dicembre e con largo anticipo rispetto al 25, e concludersi appunto il giorno 7 gennaio quando la famigerata Befana porta le calze ricche di dolciumi che mettono a dura prova il nostro peso forma soprattutto dopo le abbuffate tra pranzi, cene e panettoni vari.
C’è una cosa però da sapere in vista del nuovo anno e della fine di questo periodo magico. Oggi, infatti, immaginiamo la calza già piena da dolciumi, cioccolata e caramelle. Diamo per scontato che sia fatta così. Ma la sua storia racconta qualcosa di molto diverso. Prima che l’industria dolciaria entrasse nelle case, la calza aveva un significato più simbolico, concreto e, per certi versi, sorprendente. C’era altro al posto dei dolci…
Niente cioccolata: cosa c’era una volta nella calza della Befana

Nelle campagne italiane, soprattutto fino ai primi decenni del Novecento, la calza della Befana non era pensata per stupire ma per essere utile. Dentro finivano spesso frutta secca, come noci, nocciole, mandorle o fichi essiccati. Non era una scelta casuale: erano alimenti preziosi, energetici, facili da conservare e legati al ciclo agricolo.
Accanto alla frutta, non era raro trovare pane, un piccolo pezzo di formaggio, oppure una mela. Doni semplici, certo, ma che per molti bambini rappresentavano comunque una festa. In un’epoca in cui nulla veniva sprecato, anche un regalo così modesto aveva un valore enorme. Ma nella. calza non ci finivano solo cose da mangiare, anzi.
Oltre agli alimenti, del resto, potevano comparire oggetti di uso quotidiano. Un paio di calze nuove (vere, non di dolci), un fazzoletto ricamato, un pettine, qualche bottone colorato. Regali pratici, ma scelti con attenzione, spesso acquistati mesi prima. In alcune zone d’Italia, soprattutto al Nord, si usava inserire monetine o piccoli soldi: non tanto per il valore economico, quanto come augurio di prosperità per l’anno nuovo. Era un modo silenzioso per dire: “che non ti manchi nulla”.
Il carbone nella calza dell’Epifania, un classico
E poi occhio al carbone. Perché per quanto possa sorprendere, non è un’invenzione moderna anche la sua funzione era ben diversa da quella che immaginiamo oggi. In origine non era zucchero colorato, bensì vero carbone o cenere, inseriti come richiamo simbolico al comportamento del bambino.
Non era una punizione severa, quanto piuttosto un messaggio educativo. Un promemoria, potremmo dire, che ricordava come ogni gesto avesse conseguenze. E spesso quel carbone restava lì, nella calza, senza drammi: faceva parte del racconto e ricordava cosa non fare mai. Al posto di una cosa bella c’era quel pezzo di carbone inutilizzabile.
Solo successivamente con il boom economico e la diffusione dei prodotti industriali la cioccolata ha iniziato a prendere il posto dei doni essenziali. Le calze si sono riempite di dolci, caramelle, snack confezionati. La Befana, da figura quasi austera, è diventata progressivamente più indulgente. Non è un caso: il cambiamento riflette una società più prospera, meno legata alla sopravvivenza quotidiana e più orientata al consumo. La calza ha smesso di essere utile ed è diventata soprattutto piacevole.





